L’esperienza universitaria offre alle persone l’opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e diventare più autonomi, ma spesso rappresenta anche una notevole fonte di sofferenza psicologica (Besser et al., 2014; Touloumakos et al., 2016).
Coerentemente con tutto questo, la prevalenza di disturbi mentali nella popolazione degli studenti universitari risulta elevata (Papadatou-Pastou et al., 2015) e molti di loro finiscono con l’abbandonare precocemente gli studi o diventare fuori corso.
Le cause e la natura del problema
Durante il loro percorso accademico, gli studenti universitari si trovano a dover affrontare un gran numero di cambiamenti, sfide ed esperienze significative e questo porta loro ad un repentino sviluppo personale e sociale (Touloumakos et al., 2016), ma anche ad importanti alterazioni negli stili di vita (Rosa, 2013) e ad un aumento dei livelli di stress (Besser et al., 2014). Inoltre, il fenomeno dell’espansione della fase formativa ha fatto slittare in avanti il raggiungimento delle varie tappe evolutive che, secondo la nostra cultura, sono necessarie per la transizione dallo status di adolescente a quello di adulto, e quindi, di conseguenza, gli studenti universitari si ritrovano, per un considerevole periodo di tempo, a vivere sospesi in una specie di limbo tra queste due fasi dell’esistenza (ISTAT, 2016).
1. L’espansione della fase formativa e il limbo degli studenti
Dagli anni Sessanta in poi si è verificato un maggiore accesso al sistema educativo da parte di strati della società prima meno coinvolti e soprattutto da parte delle donne, il cui livello di istruzione è addirittura migliorato più di quello degli uomini, in particolar modo per quanto riguarda il titolo di studio universitario (ISTAT 2019; ISTAT, 2016).
Questo prolungamento degli studi si è però tradotto in un allungamento dei tempi di transizione dallo status di adolescente a quello di adulto, la cui conquista è tradizionalmente condizionata al raggiungimento di determinate tappe di sviluppo, che consistono in realtà in una serie di importanti passaggi: dalla vita con la famiglia d’origine a quella indipendente o di coppia, dall’essere single all’essere coniugato, dal non avere figli al diventare genitore e dalla condizione di studente a quella di lavoratore ( ISTAT 2019; ISTAT, 2016).
Rispetto ad epoche precedenti, quest’ultimo passaggio viene, ai giorni nostri, notevolmente ritardato proprio a causa dell’espansione della fase formativa. Confrontando i dati relativi alle persone nate negli anni Cinquanta e negli anni Settanta, la percentuale di giovani che a 20 anni risultava ancora in fase di formazione e non aveva avuto esperienze lavorative è passata infatti dal 22,5% al 27,0% per gli uomini e dal 17,8% al 32,8 % per le donne (ISTAT, 2016).
Oltre a cominciare a lavorare più tardi rispetto alle generazioni precedenti, i giovani oggi tendono ad iniziare la loro carriera con forme di lavoro atipico (dipendenti a tempo determinato, collaboratori o prestatori d’opera occasionale) piuttosto che con lavori permanenti come invece accadeva prima (ISTAT, 2016).
Nel raggiungimento delle varie tappe evolutive, la maggior parte delle persone tende a rispettare la particolare sequenza cronologica imposta dalla tradizione, di conseguenza, i giovani solitamente prima trovano lavoro, poi escono dalla casa della famiglia d’origine e solo successivamente diventano genitori (ISTAT, 2016). Questo significa che il ritardo nel passaggio dalla condizione di studente a quella di lavoratore si traduce praticamente in un conseguente slittamento anche di tutti gli altri passaggi evolutivi (ISTAT, 2019; ISTAT, 2016).
Gli studenti universitari si ritrovano quindi costretti a sperimentare le contraddizioni e le ambiguità di questo strano limbo in cui sono imprigionati. Non sono più adolescenti, ma non si riescono ancora a considerare dei veri e propri adulti, in quanto la maggior parte di loro non ha ancora superato le tappe evolutive culturalmente richieste per la transizione verso lo status di adulti.
2. Il cambiamento degli stili di vita e i comportamenti a rischio negli studenti universitari
Il periodo universitario in passato è stato erroneamente ritenuto una fase relativamente sana della vita, mentre adesso viene considerato un periodo critico (Rosa, 2013), infatti proprio quando le persone solitamente entrano nel mondo dell’università, cioè tra i 18 e i 30 anni, si verifica un aumento dei cosiddetti comportamenti a rischio e cioè di quei comportamenti e quelle abitudini non salutari che possono causare conseguenze potenzialmente negative per la salute e la vita dell’individuo, anche se tali influenze negative sono in una certa misura controbilanciate da conseguenze positive (Di Pietro et al. 2015; Rosa, 2013).
Il peggioramento degli stili di vita degli studenti è, almeno in parte, da ricondurre al fatto che, proprio in questo periodo molti studenti lasciano la loro casa e la loro famiglia d’origine per andare a vivere da soli (Di Pietro et al. 2015).
Ritrovandosi improvvisamente ingolfati da una marea di nuovi problemi, gli studenti tenderanno infatti a privilegiare soluzioni più semplici che salutari, come ad esempio un’alimentazione basata su cibi economici e praticamente già pronti, al posto di una dieta sana ed equilibrata.
Numerosi studi evidenziano la presenza di una significativa percentuale di stili di vita non salutari e comportamenti a rischio negli studenti italiani (Di Pietro et al. 2015; Rosa, 2013).
Secondo uno studio condotto su 1262 studenti di diverse Facoltà dell’Università di Pisa (Carducci et al., 2004), il 41% di loro risultava fumare regolarmente, mentre la percentuale di persone che facevano uso più o meno frequente di sostanze psicoattive superava il 40%.
Durante i pasti, il 22% degli studenti ha dichiarato di assumere vino, l’11% birra e il 2% superalcolici, inoltre il 13% delle persone ha affermato di assumere superalcolici fuori pasto (Carducci et al., 2004).
Bonaldo, Frasson, Morandin, Pantaleoni, Pulit & Trevisan (2012), invece, nel loro studio hanno riscontrato che il 14% degli studenti fumava e che il 62% di loro assumeva bevande alcoliche, di cui soprattutto superalcolici.
Questi stili di vita maladattivi possono avere un impatto notevole sulla salute degli studenti, esercitando, di conseguenza, un’influenza negativa anche sul loro rendimento accademico (Rosa, 2013) e sul loro benessere psicologico. Le preoccupazioni e lo stress tipici del periodo universitario, tuttavia, possono a loro volta favorire stili di vita dannosi e comportamenti a rischio come il binge drinking e l’abuso di sostanze (Touloumakos et al., 2016), portando in questo modo all’instaurarsi di un pericoloso circolo vizioso.
3. Il passaggio dalle scuole superiori all’università: una delicata fase di transizione
Il passaggio dalle scuole superiori all’università rappresenta un periodo particolarmente critico, in quanto porta con sé tutta una serie di importanti cambiamenti e di esperienze significative che, se da un lato offrono agli studenti la possibilità di diventare più autonomi e realizzare se stessi, dall’altro mettono duramente alla prova la loro resilienza e le loro capacità di adattamento, poiché favoriscono la percezione che le richieste ambientali eccedano le capacità dell’individuo di farvi fronte (Besser et al., 2014).
Durante il primo anno di università, infatti, gli studenti sono costretti ad adattarsi ad ambienti e metodi di apprendimento nuovi, devono abituarsi a ricevere meno supporto individuale dai docenti, si ritrovano in un clima più competitivo, devono gestire un maggiore carico di studio e mantenere un livello di autoregolazione adeguato a sviluppare al meglio le proprie abilità accademiche (Besser et al., 2014).
Spesso i ragazzi hanno difficoltà ad affrontare queste sfide perché non sono stati preparati adeguatamente durante le scuole superiori (ad esempio potrebbero non aver acquisito delle tecniche di studio adeguate) (Besser et al., 2014).
Un numero sostanziale di studenti universitari, in effetti, sperimenta difficoltà legate alle proprie abilità di studio, come stress legato agli esami (90,5%) e stress legato alle scadenze e alla gestione del tempo (83,3%) (Touloumakos et al., 2016).
Curiosamente, sembra che non sia tanto la media dei voti ad influenzare in modo significativo i livelli di stress degli studenti, quanto piuttosto il carico di studio a cui sono sottoposti (Dusselier et al., 2005).
Molti studenti, inoltre, sono costretti ad allontanarsi dal loro contesto sociale primario (famiglia, amici, ecc…) e a trasferirsi in un’altra città, dove dovranno imparare a gestire autonomamente nuove e numerose incombenze quotidiane, senza poter più usufruire a pieno del sostegno delle reti di supporto sociale che hanno lasciato nelle città d’origine, ritrovandosi oltretutto spesso a convivere con dei perfetti estranei, aventi esigenze e abitudini non necessariamente affini alle loro (Di Pietro et al. 2015; Besser et al., 2014; Touloumakos et al., 2016).
Imparare a vivere da soli costituisce indubbiamente un’occasione di crescita per gli studenti, tuttavia, come già accennato, ne mette duramente alla prova le capacità di adattamento, finendo molto spesso col tradursi in uno sregolamento delle loro abitudini alimentari, dei loro ritmi di sonno e, in generale, in un peggioramento dei loro stili di vita (Di Pietro et al. 2015; Rosa, 2013).
Sperimentare un conflitto con un membro della facoltà risulta essere uno dei fattori più stressanti per gli studenti (Dusselier et al., 2005), mentre altre importanti fonti di disagio sono costituite dai costi dello studio e dalle preoccupazioni relative alle proprie prospettive lavorative, alla propria immagine e al proprio successo accademico (Papadatou-Pastou et al., 2015; Touloumakos et al., 2016).
Tutto questo può avere un profondo impatto sulla vita degli studenti universitari, che infatti mostrano (soprattutto durante il primo anno, ma non solo) un aumento dei livelli di stress percepito, un incremento dei sintomi di ansia e depressione e una notevole compromissione funzionale (Besser et al., 2014; Chiauzzi et al., 2008).
Lo stress prolungato tende progressivamente a deteriorare le loro risorse personali e a lasciare delle profonde cicatrici sul concetto che hanno di se stessi, provocando un significativo abbassamento dei loro livelli di autostima (Besser et al., 2014). Tali difficoltà impediscono agli studenti di realizzare il loro vero potenziale e di godersi l’esperienza universitaria e potrebbero in parte spiegare perché più di uno studente su cinque abbandona gli studi prematuramente (Touloumakos et al., 2016).
L’impatto di questi fattori sul benessere degli studenti non è uguale per tutti, ma dipende dalla particolare combinazione di vulnerabilità e risorse che li caratterizzano. Alcuni di loro vivono l’esperienza universitaria senza particolari difficoltà, altri invece ne accusano maggiormente gli stravolgimenti, ma riescono ugualmente a condurre normalmente la propria esistenza, altri ancora rimangono impantanati in una situazione di stallo a causa del forte disagio che sperimentano. Lo stesso vale per la durata di questo periodo di sofferenza psicologica, che varia da persona a persona, anche se, in generale, tende a raggiungere un picco durante il primo anno di università e poi, per la gran parte degli studenti declina. Tuttavia, una parte di studenti mostra livelli gravi e cronici di sofferenza che non diminuiscono nel tempo (Kitzrow, 2003). Per loro, le problematiche sopra descritte finiscono col caratterizzare l’intero periodo universitario e rischiano di trasformarsi in veri e propri disturbi psicopatologici (Touloumakos et al., 2016).
Interventi orientati alla promozione del benessere e alla prevenzione del disagio psicologico potrebbero risultare molto utili nel ridurre l’impatto che lo stress associato al periodo universitario esercita sulle persone, prevenendo il trasformarsi di queste problematiche in disturbi più gravi e soprattutto offrendo agli studenti l’opportunità di sviluppare e sfruttare al meglio le proprie risorse e di godersi a pieno l’esperienza universitaria.
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Sono una psicologa abilitata e iscritta all’albo degli psicologi del Piemonte, lavoro come libera professionista a Torino, collaboro col Centro Psicologico Anthropos di Foggia e offro consulenze psicologiche anche online e telefonicamente. Attualmente, mi sto specializzando in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale presso l’Istituto Watson di Torino.
Nell’ambito del mio percorso accademico e professionale, ho avuto modo di approfondire lo studio della Psicologia Positiva, dell’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e del Benessere Psicologico (in particolar modo quello degli studenti universitari, che è stato oggetto della mia tesi di laurea). Nel mio lavoro, utilizzo molto tecniche di rilassamento psicofisico e di mindfulness, alle quali dedico anche corsi ed eventi specifici.
Nel mio blog, scrivo di psicologia, ma anche di come il mondo della psicologia si intreccia con quello della narrativa, del teatro, del cinema, delle serie tv, dei fumetti e dei videogiochi.
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